La “festa” inizia puntualissima. Sono le 21.45 e gli Arcade Fire salgono sul palco. Con i volti coperti da grandi maschere di cartapesta imbracciano gli strumenti ed iniziano a suonare. Il brano è “Rebellion (Lies)” ma non arriva nemmeno alla fine: dal backstage escono i “veri” Arcade Fire e si sostituiscono agli “impostori”. Curioso che questi ultimi indossino completi scuri e anonimi a differenza degli AF che sfoggiano completi chiari, sfavillanti e ricchi di lustrini e paillets quasi a voler, anche attraverso il look, sancire la netta virata ed il conseguente cambio di direzione stilistico che, abbandonati i suoni barocchi e malinconici degli anni passati, arriva oggi ad abbracciare melodie, ritmiche ed arrangiamenti degni della miglior tradizione dance-floor anni ’80. E ballare equivale a festeggiare. A celebrare la gioia, la vita, il cuore che pulsa al ritmo delle emozioni e ci fa saltare dall’inizio fino alla fine dello show. “Normal person” parte solo apparentemente in sordina per esplodere di luci e suoni sul ritornello, quindi “Reflektor” e la bellissima “Flashbulb eyes”, piena di echi dub e percussioni. La band, salta e balla, come il pubblico. Sono in tanti e sono belli a vederli muoversi da un lato all’altro del palco scambiandosi e alternandosi agli strumenti come fossero bambini che giocano.
La sezione ritmica è ricchissima: due batterie, percussioni latine e brasiliane, un potentissimo basso elettrico, che per tutto il concerto suona leggeremente, ma piacevolmente, distorto. “Neighborhood #3 (Power Out)” , brano del 2005, con l’intro di agogò, suona quasi carioca se non fosse per il bridge vocale di Win Butler, punk quanto basta, e per il tema di basso elettrico intriso di new-wave. E sul punk , ancora più duri, si prosegue con “Joan of Arc”, da Reflektor e “Month of May”, estratta da The Suburbs del 2010. Si continua con lo stesso album e con il brano omonimo mentre sul mega schermo appaiono le immagini digitalmente rielaborate della video-clip originale. La scenografia e la coreografia di luci sono davvero belle. Dagli schermi – il grande centrale e i due ai lati del palco – tante e molteplici sono le rielaborazioni in real-time degli stessi musicisti intenti a suonare con filtri ed effetti tipici delle produzioni video anni ottanta, mentre, in un fantastico gioco di forme e colori, le decine di specchi esagonali che calano dall’alto riflettono (reflektor?) e restituiscono al pubblico un’inedita percezione dello spazio fisico ed emotivo. Nonostante i continui rimandi apparentemente nostalgici e l’uso ricorrente a segni e a linguaggi stilistici degli anni ’80 è evidente quanto gli AF non si limitano a “scimmiottarne” i caratteri quanto, piuttosto, a reinterpretare gli stessi, filtrandoli attraverso una lente di ingrandimento, la loro grande sensibilità e creatività, che ne esalta i tratti più autentici e meno “glam”. “Ready to Start”, e noi continuiamo a saltare, quindi “Neighborhood #2 (Laika)” con la bellissima e sempre sorridente Régine che imbraccia la fisarmonica e canta con una voce fine e sottile da far accapponar la pelle.