Si diceva qualche anno fa che il rock fosse morto. Ho avuto certamente molte conferme circa la falsità della stessa affermazione ma nessuna, prima d’ora, cosi pregnante, significante come quella arrivatami la notte di venerdi scorso ascoltando dal vivo Frankie Chavez, ultimo dei tre artisti esibitisi nella prima giornata del Mojo Station Blues Festival. Siamo alla Locanda Atlandite di Roma, un bel numero di persone, tra giovani hipster barbuti, ragazze bluesy, attempati motocicilsti, bikers, reduci dalla Critical Mass, ed intramontabili capelloni. Il blues è il “seme” della musica più recente e come tale raccoglie consensi unanimi che vanno ben oltre il genere, lo stile, la moda.
La serata inizia con Hola La Poyana, giovane e promettente “folkman” sardo che “prepara” il palco a Marco Pandolfi, considerato il miglior armonicista italiano, e al suo nuovo progetto discografico “No Dog In This Hunt”. Insomma, quando Chavez sale sul palco l’atmosfera è già bollente. E lui ci mette davvero un attimo ad incendiarla. Artista portoghese acclamato da critica e pubblico, ritenuto il miglior esponente europeo del blues attuale è polistrumentista capace di catalizzare il pubblico in ogni sua performance. Lo accompagna l’ottimo (ma è riduttivo definirlo solo cosi) Joao Correia, che per tutto il concerto colpisce la batteria con tale amore, forza, precisione e originalità da lasciarmi estasiato. Sul palco sono in due, ma sembrano almeno il doppio tale l’intensità e la ricchezza delle esecuzioni: merito senz’altro della versatilità di Chavez che passa dall’elettrica, alla acustica e dalla chitarra portoghese alla steel-guitar mescolando sapientemente blues, rock, e folk con soluzioni compositive semplici per le orecchie ma eccezionalmente complesse ed appaganti per il cuore. Il concerto parte con The Train is gone ed i brani si susseguono veloci caratterizzati da riff ipnotici e dal drumming originalissimo di Correia. Da bassista non ho mai visto di buon occhio i duo chitarra/batteria ma vi assicuro che la mancanza del basso non si notava assolutamente grazie al particolare utilizzo che lo stesso Correia faceva di un tamburo a metà strada tra un tom ed un timpano. Time Machine ci fa ballare e lo fa altrettanto I Believe I’ll dust my broom, bluesaccio quadrato e potente. I Don’t belong ci trascina in atmosfere roots, cosi come fa Old habits mentre Another Day, bellissima ballata della miglior tradizione folk, ci fa sognare sterminati campi di grano. Airport Blues e Dicember 21st 2012 riabbracciano metriche e stilemi blues. Tra le due, Search, una bellissima ballata nella quale le dita di Chavez arpeggiano soavi la chitarra portoghese; Dreams of Rebel ci fa nuovamente saltare e non la smetteremo fino al termine dello show.