“Vado a vedere un concerto jazz”. Avevo detto questo ad un’amica lo scorso 24 maggio. Jazz. Si, anche, forse. Successivamente, per definirlo, sono rimasto molto sul generico e sul “genere” perchè, di fatto, lo spettacolo cui ho assistito risulta quanto mai di difficile catalogazione. Show appassionante e musicisti straordinari. Ognuno di loro capace di impeccabili tecnicismi e di una sensibilità di cuore matura ed aperta alla contaminazione. Di genere e di sentimento. Una serata molto riuscita della quale ho avuto la fortuna di esserne stato parte. Un viaggio di oltre un’ora che provo a restituirvi in questo breve scritto.
Siamo al Teatro Studio dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, l’atmosfera è intima, raccolta. Pochi minuti di attesa e sul palco compaiono i musicisti. E’ proprio Beltrami ad aprire creando con la chitarra, e con i molti effetti, atmosfere e ambienti sonori che ci introducono per mano nel vivo dello show, con gentilezza e soprattutto estremo garbo. BPPV il brano con cui sceglie di aprire, tratto da Paroxismal Postural Vertigo, album del 2011, sul quale a poco a poco interviene tutta la band, dichiarando chiaramente le proprie intenzioni; lasciarci incollati alle poltrone e renderci praticamente impossibile un seppur attimo di distrazione. Odd Dogs, il secondo brano, tratto da Kernel Panic, il nuovo album prodotto dall’Auditorium Parco della Musica, non lascia, infatti dubbio, alcuno.
Il riff “sbilenco” di Beltrami suonato all’unisono con il sax di Francesco Bearzatti e la tromba di Giovanni Falzone, sostenuti da un basso “carro armato” di Danilo Gallo e dal drumming perfetto di Stefano Tamborrino, non ti lascia respirare. Gli assoli irrompono puntuali e discreti senza invadenza ne arroganza, capaci di allentare la tensione e farla esplodere il momento successivo. Se con What is riprendiamo fiato, la successiva #2 ci porta a tutta velocità su un 4/4 dai chiari accenti punk-rock sui quali si intreccia il sax di Francesco Bearzatti cosi “nero” che ti chiedi come faccia a suonare cosi “giusto” sulla chitarra distorta di Beltrami. Parte poi Panic, dal nuovo album e la drammaticità dei fiati rappresenta perfettamente quel senso di caos, misto all’urgenza di venirne fuori, la sensazione del panico appunto, di trovare un nuovo senso e significato al mondo, sia esso interiore che circostanziale. Ed è con Skin, il successivo brano, che il caos emotivo affiora in superficie, trasuda, dal fraseggio schizofrenico e malato dei fiati di Bearzatti e di Falzone, cosi come dalle dita veloci di Beltrami sulle corde e dai colpi secchi di Tamborrino sui tamburi. Tra un brano e l’altro Beltrami ci intrattiene con le sue storie, racconta e si dilunga, con grande simpatia ed auto-ironia, nello spiegarci la genesi dei brani. Si passa a Tormento, tratta dall’album Piccoli numeri, del 2006, nel quale il lungo intro di Gallo con il basso ci fa scendere nelle profondità del sentimento. Mind the Mind, ci porta via lontano; potenti la ritmica di Tamborrino e i fiati che rimandano ad atmosfere da notti tunisine alla Gillespie. Doctor D, urla tutto il disagio di metropoli stanche e folli, The Envisioneer ci ridona dolcezza e luce: e speranza. Seamont’s manouvre chiude lo spettacolo, riportandoci nuovamente verso un dove che sembra non essere da nessuna parte. NOWHERE.
(Michele Mancaniello per RootsIsland)