Da “Il Manifesto” – La doppia identità ci preserva dalla crisi, articolo di Valerio Corzani
Fra i tanti «batteri benigni» messi in circolo, i live set di Carmen Sousa e Roberto Fonseca Il trio di Nills Petter Molvaer è votato completamente alla perlustrazione dell’elettronica spinta.
Le crisi sono opportunità dinamiche, svolte necessarie, terreni fertili, spazi di consenso creativo che utilizzano i gangli dell’emergenza per forgiare il nuovo. Non c’è economista, o sociologo, o antropologo che non abbia rilevato la doppia «identità» dei periodi di crisi: da una parte il dramma, dall’altra l’opportunità, da una parte il baratro, dall’altra il paracadute, quando non il volano. È proprio in questa duplice opzione, capace di radiografare il presente e di preannunciarne alcuni sviluppi che i responsabili del Festival Dromos hanno scelto di dedicare l’edizione numero quindici della loro rassegna al tema della «Krìsis», perseguendo l’aura della sua etimologia greca.
Ed è anche per questo che O Deus Que Devasta Mas Também Cura, titolo dell’ultimo album di Lucas Santtana, poteva essere indicato anche come il sottotitolo dell’edizione 2013 del Festival Dromos. Un festival che ha fortemente voluto in cartellone l’artista bahiano e che domenica sera gli ha decretato un battesimo concertistico in terra di Sardegna pieno di belle emozioni e vibrazioni positive.
Santtana è uno dei più interessanti, dinamici e sperimentali cantautori-produttori della «nuova generazione» di musicisti brasiliani. Uno di quelli che rinnovano con molta circospezione la canzone popolare verdeoro, la mondializzano senza violentarla e la vestono con un vestito sonoro pieno di appeal. In questo senso Santtana è senza dubbio anche uno degli eredi dell’antropofagia, movimento artistico brasiliano che incitava alla creazione mai scevra da influenze esterne. Nelle canzoni di Santtana si trovano dei piccoli tasselli di jazz, di elettronica, di pop anni 60, di folk e di canzone popolare brasiliana. Ma in Brasile la varietà, l’eclettismo e la «crisi» non sono parole «brutte», sono, appunto, più un’occasione che un pericolo e l’antropofagismo prima e il tropicalismo poi avevano già elaborato tattiche creative di questo tipo.
Santtana è un gourmet di gran classe, l’ha dimostrato anche nel concerto fissato nel piccolo centro di Uras (tra Cagliari e Oristano) dove il Dromos l’aveva convocato insieme a Caetano Malta (chitarra elettrica e basso) e Bruno Buarque (mpc, samplers, percussioni). Le influenze del suo background anche dal vivo vengono distillate, finemente dosate e missate, tutto al servizio della leggerezza, dell’eleganza e di una melanconia sottile. Qualcuno potrebbe addirittura pensare al cugino bahiano di Sufjan Stevens. Anche lui come il songwriter statunitense ha capito che spesso non serve alzare la voce per farsi ascoltare e che i suoi bozzetti sonori finemente cesellati potevano essere sussurrati, senza dover essere urlati e senza perdere in potenza. Poi, naturalmente, quando c’è da innestarla, la potenza si innesta. E a quel punto Lucas e i suoi due partners che utilizzano voci, chitarre elettriche e acustiche, batterie elettroniche, basi e campionatori per creare un suono ruvido e persistente si piazzano più dalle parti di Beck che non di Sufjan Stevens ed evocano tanto per citare anche un referente più consono geograficamente, anche alcune delle follie sonore del decano Tom Zé.
Il giorno precedente nel Giardino del Seminario di Oristano c’era stato un altro trio votato a una perlustrazione dell’elettronica più impegnativa e spinta: sul palco il trombettista norvegese Nils Petter Molvaer, il suo connazionale dedito allo «stretching» dei sampler Jan Bang e l’addomesticatore di bit e di beat Vadislav Delay. Era la prima volta che i tre si incontravano dal vivo e il meeting creativo ha subito di tanto in tanto l’onta del debutto, ma certi passaggi (forse proprio quelli più dilatati, pensosi, problematici dal punto di vista timbrico) e certe perlustrazioni improvvisative hanno comunque segnalato la possibilità di escursioni future piene di sorprese e di ulteriori imboscate sonore.
Un altro trailer di una «crisi» auspicabile, serendipica e fortemente voluta? Probabilmente sì. Uno dei tanti «batteri» benigni messi in circolo dal Dromos di quest’anno che, va detto, ha presentato anche molte altre cose (una serie di concerti come quelli di Carmen Sousa, Roberto Fonseca, Paolo Fresu & Uri Caine, Stefano Bollani in solo, Al Jarreau), mostre, conferenze e finirà per travasare le sue spinte di analisi nel palinsesto limitrofo di un altro festival, il Mamma Blues di Nureci che verrà aperto l’11 agosto dal concerto di Little Axe alias Skip McDonald.
Ed è anche per questo che O Deus Que Devasta Mas Também Cura, titolo dell’ultimo album di Lucas Santtana, poteva essere indicato anche come il sottotitolo dell’edizione 2013 del Festival Dromos. Un festival che ha fortemente voluto in cartellone l’artista bahiano e che domenica sera gli ha decretato un battesimo concertistico in terra di Sardegna pieno di belle emozioni e vibrazioni positive.
Santtana è uno dei più interessanti, dinamici e sperimentali cantautori-produttori della «nuova generazione» di musicisti brasiliani. Uno di quelli che rinnovano con molta circospezione la canzone popolare verdeoro, la mondializzano senza violentarla e la vestono con un vestito sonoro pieno di appeal. In questo senso Santtana è senza dubbio anche uno degli eredi dell’antropofagia, movimento artistico brasiliano che incitava alla creazione mai scevra da influenze esterne. Nelle canzoni di Santtana si trovano dei piccoli tasselli di jazz, di elettronica, di pop anni 60, di folk e di canzone popolare brasiliana. Ma in Brasile la varietà, l’eclettismo e la «crisi» non sono parole «brutte», sono, appunto, più un’occasione che un pericolo e l’antropofagismo prima e il tropicalismo poi avevano già elaborato tattiche creative di questo tipo.
Santtana è un gourmet di gran classe, l’ha dimostrato anche nel concerto fissato nel piccolo centro di Uras (tra Cagliari e Oristano) dove il Dromos l’aveva convocato insieme a Caetano Malta (chitarra elettrica e basso) e Bruno Buarque (mpc, samplers, percussioni). Le influenze del suo background anche dal vivo vengono distillate, finemente dosate e missate, tutto al servizio della leggerezza, dell’eleganza e di una melanconia sottile. Qualcuno potrebbe addirittura pensare al cugino bahiano di Sufjan Stevens. Anche lui come il songwriter statunitense ha capito che spesso non serve alzare la voce per farsi ascoltare e che i suoi bozzetti sonori finemente cesellati potevano essere sussurrati, senza dover essere urlati e senza perdere in potenza. Poi, naturalmente, quando c’è da innestarla, la potenza si innesta. E a quel punto Lucas e i suoi due partners che utilizzano voci, chitarre elettriche e acustiche, batterie elettroniche, basi e campionatori per creare un suono ruvido e persistente si piazzano più dalle parti di Beck che non di Sufjan Stevens ed evocano tanto per citare anche un referente più consono geograficamente, anche alcune delle follie sonore del decano Tom Zé.
Il giorno precedente nel Giardino del Seminario di Oristano c’era stato un altro trio votato a una perlustrazione dell’elettronica più impegnativa e spinta: sul palco il trombettista norvegese Nils Petter Molvaer, il suo connazionale dedito allo «stretching» dei sampler Jan Bang e l’addomesticatore di bit e di beat Vadislav Delay. Era la prima volta che i tre si incontravano dal vivo e il meeting creativo ha subito di tanto in tanto l’onta del debutto, ma certi passaggi (forse proprio quelli più dilatati, pensosi, problematici dal punto di vista timbrico) e certe perlustrazioni improvvisative hanno comunque segnalato la possibilità di escursioni future piene di sorprese e di ulteriori imboscate sonore.
Un altro trailer di una «crisi» auspicabile, serendipica e fortemente voluta? Probabilmente sì. Uno dei tanti «batteri» benigni messi in circolo dal Dromos di quest’anno che, va detto, ha presentato anche molte altre cose (una serie di concerti come quelli di Carmen Sousa, Roberto Fonseca, Paolo Fresu & Uri Caine, Stefano Bollani in solo, Al Jarreau), mostre, conferenze e finirà per travasare le sue spinte di analisi nel palinsesto limitrofo di un altro festival, il Mamma Blues di Nureci che verrà aperto l’11 agosto dal concerto di Little Axe alias Skip McDonald.