Non ricordo, almeno negli ultimi anni, di aver assistito ad un concerto a metà del quale un numero, seppur contenuto, di spettatori si alzasse per andar via. Al primo movimento tra le file di poltrone ho pensato ad impellenti bisogni fisiologici, al secondo ho immaginato terribili quanto imprevisti accadimenti casalinghi, al terzo ho capito che si trattava semplicemente di noia, stanchezza, disagio per lo spettacolo cui stavamo assistendo.
Siamo nella Sala Petrassi, dell’Auditorium – Parco della Musica di Roma. Un set up minimale, come minimale la formazione. Brad Mehldau al piano acustico, Fender Rhodes, synth “che più’ vintage non si può” ed effettistica varia; Mark Guiliana alla batteria con un doppio rullante, pochi altri gingilli e qualche effetto.
Il loro tour parte ad ottobre negli States ed approda in Europa a novembre per un tour di dodici date in altrettante città, tra cui Roma unica in Italia. Un duo elettrico in cui la fusione comincia già nel nome “Mehliana”. Prevedevo sarebbe stato un concerto non facile; io per primo nutrivo dubbi sulla tenuta e sulla possibilità di mantenere alto il “phatos” per l’intero show. Nonostante le mie iniziali perplessità, e le certezze, invece, di chi ha abbandonato la sala, a fine serata mi sono ritrovato piacevolmente soddisfatto dello spettacolo sia per il tessuto armonico e ritmico che il duo è riuscito ad elaborare – in maniera trasversale, attingendo dal progressive, dal free e dal nu-jazz, passando per il funk, l’hip-hop e la drum’n'bass – sia per l’estrema padronanza e la maestria tecnica che entrambi i musicisti hanno dimostrato possedere.
Le lunghe composizioni, firmate alcune dal solo Mehldau altre in coppia, muovono per lo più da semplici accordi di piano che, sostenuti dalle ritmiche del giovane Guiliana, si ingigantiscono via via di effetti, distorsioni, inviluppi, riverberi, pesantissimi pedali di basso sintetizzato che “aprono” e spingono in avanti creando un mix micidiale di groove funk su orchestrazioni e sonorità progressive che rimandano direttamente agli anni ’70. Composizioni inedite nelle quali, a volte pare, di riconoscere echi di qualche standard, come nell’ultimo bis in cui Mehldau sembra ammiccare a Libertango di Piazzola. Il concerto inizia con “Hungry Ghost”, già rilasciata su youtube sul canale delle Nonesuch Records (che il 21 gennaio 2014 pubblicherà “Taming the Dragon”, il disco in studio), sia nella versione da cd che live.
Alla durezza e spigolosità sonora e ritmica di molti brani il duo riesce a dar tregua con estrema grazia, inserendo nella scaletta ballate che da una parte strizzano l’occhio a sonorità e melodie più’ “facili” dall’altra rifuggono la banalità ed il facile consenso con l’inserimento – mai forzato o fine a se stesso – di una dissonanza, di un tempo spezzato, asimmetrico.
MEHLIANA featuring Brad Mehldau and Mark Guiliana 06.06.12 Stone, NYC from Brad Mehldau on Vimeo.
Mehldau sembra un funambolo e, senza stanchezza per l’ora e mezza circa di spettacolo, muove le braccia incrociandole tra le molteplici tastiere con la leggerezza e la sicurezza di un bambino; Guiliana, a volte un po’ ridondante, dimostra grandi qualità seppur il suo suono, oltre che le sue movenze dietro allo strumento, rimandano ad un approccio più’ formale, più’ “machinoso”. Intendo dire che se Mehldau circondato da cavi, pedali e marchingegni elettronici appare padrone di essi, li domina e li piega, con la sola anima, alla propria vocazione artistica, Giuliana sembra, al contrario, limitato dal linguaggio espressivo che le stesse macchine consentono: le imita anziche’ farle suonare con una voce nuova.
Per tutto il concerto i due musicisti non si risparmiano e per il dispiacere di molti, regalano pure due bis alla platea. Nel suo insieme un concerto molto interessante; da migliorare forse livelli e volumi generali che, in qualche momento, sono apparsi poco equilibrati rendendo difficoltoso, visto il ridottissimo combo fosse già ostico di suo, l’ascolto. (Michele Mancaniello per RootsIsland)
http://www.bradmehldau.com/